15/03/15

Il diritto di opinione, il dovere di giudizio

La nascita dei social network ha offerto la possibilità a tanti di affacciarsi sul mondo e di comunicare con vaste moltitudini di persone. Questa comunicazione è il più delle volte a senso unico e senza controllo, un elemento che rende il web uno strumento di libertà globale, ma allo stesso tempo un pericoloso mezzo di propaganda. L’abitudine a scrivere sui social con le stesse modalità con cui si chiacchiera del più e del meno giornalmente nei bar, sui luoghi di lavoro, nei salotti delle famiglie italiane, ha stravolto profondamente e pericolosamente il modo comunicare tra le persone creando delle inutili casse di risonanze di opinioni personali.
Ecco, di questo volevo parlare. Oggi viviamo nel mondo delle opinioni. La velocità con cui si vive, il tempo che manca, la pigrizia, dono delle moderne tecnologie, fa sì che le persone scrivano, parlino, e senza pensare, rimbalzino frettolosamente notizie sentite o lette o viste qua e là. Commentano avvenimenti senza conoscere antefatti, premesse, conseguenze. Esprimono le proprie opinioni, che altro non sono se non convinzioni di massa formate in assenza di precisi elementi di certezza assoluta che ne aiutino a stabilire la verità. Anche se in buona fede, le opinioni, spesso non sostenute dalla conoscenza dei fatti, dei fenomeni, dei retroscena, null'altro sono se non una versione personale o, più spesso collettiva (social) del fatto. Una versione che il più delle volte è ingannevole o falsa. Un pregiudizio.
Chi invece, solitario, commenta, con ponderazione, supportato dall'evidenza, dalla ricerca e conoscenza dell’argomento, dai fatti; chi cioè trae un giudizio, di per sé più oggettivo e più vicino alla verità, viene messo in un angolo. Il suo giudizio non è conforme alla convinzione collettiva, cioè all'opinione comune.
Scriveva Jane Austen nel lontano 1818 nel suo bel libro Persuasione “Fatti e opinioni che devono passare attraverso tante persone per essere mal interpretate dalla stoltezza dell'uno, e dall'ignoranza dell'altro, non possono presumibilmente presentare molta verità alla fine”.